Spazi liminali

Spazi liminali

M. Lapperier, Spazi liminali / Ricerche, osservazioni, esplorazioni attraverso venticinque studi di artisti contemporanei, Vanillaedizioni, Albissola Marina, 2024.

Spazi Liminali

SPAZI LIMINALI
Ricerche, osservazioni, esplorazioni attraverso venticinque studi di artisti contemporanei

Mattia Lapperier

Spazi liminali

Testo di Mattia Lapperier

Per spazi liminali (dal latino limen: “soglia”, “confine”) si intendono spazi di transizione o trasformazione. Zone sospese tra due punti l’uno successivo all’altro; luoghi transitori, che di per sé suggeriscono un’idea di passaggio. Sono scale, ascensori, terminal di aeroporti, stazioni ferroviarie ma anche edifici abbandonati o luoghi dismessi, che nel tempo hanno finito per perdere la propria funzione originaria. Sono luoghi in cui è possibile avvertire un sottile senso di disagio, talvolta misto a una certa piacevolezza. In psicologia, sono esperienze liminali quelle che segnano il passaggio da una condizione sicura a una non ancora conosciuta; un divorzio, un lutto, la perdita del lavoro o il trasferimento in un’altra città sono tutte circostanze accomunate da una medesima provvisorietà intrinseca. Gli spazi liminali indicano l’attraversamento di un confine, il passaggio da uno stato (noto e rassicurante) all’altro (sconosciuto e incerto); da un’inclinazione mentale ed emotiva a un’altra.

Lo studio è un luogo fisico ma anche un luogo della mente. Ha, com’è ovvio, un’estensione nello spazio ma, per l’artista che lo abita, rappresenta quasi sempre anche altro; un rifugio sicuro in cui esprimersi liberamente, un luogo intimo, talvolta esso può persino rappresentare metaforicamente un’estensione del suo stesso corpo.

Si tratta di uno spazio privato, ad uso esclusivo, solo occasionalmente (e spesso in via provvisoria) è condiviso con altri artisti. È un laboratorio in cui affinare tecniche, sperimentare nuovi procedimenti o consolidare linguaggi. È un luogo vissuto per lo più in solitudine tuttavia, in via del tutto eccezionale, è talvolta aperto al confronto con altri; che siano addetti ai lavori (critici, curatori, storici dell’arte, giornalisti, galleristi) o semplici amici e conoscenti. Talvolta assume la conformazione di salotto letterario, luogo dove possono persino nascere nuove tendenze o gruppi, più o meno istituzionalizzati. È uno spazio dove molto spesso si rafforzano relazioni esistenti o dove se ne possono allacciare di nuove. È un luogo ideale per discutere di arti figurative, letteratura, musica o estetica ma è anche un ambiente informale dove viene da sé abbandonarsi a conversazioni più leggere e confidenziali. Non è solo il luogo in cui si fa arte ma è anche dove l’opera trova per la prima volta collocazione nello spazio. È dove essa conosce un primo confronto con la parete, con gli altri lavori dello stesso autore, talvolta anche con quelli di artisti diversi, invitati a esporre nello stesso spazio in modo estemporaneo o anche intenzionale e pianificato. È dove l’opera esce fuori da sé.

È un luogo di lavoro attivo ma anche uno spazio contemplativo da dedicare alla riflessione, allo studio, all’approfondimento, alla ricerca. Di frequente infatti i due aspetti coincidono sino a divenire sovrapponibili; lo stesso ambiente reca i segni di uno spazio che è contemporaneamente pubblico e privato. Anche se l’abitazione dell’artista e lo studio non si trovano materialmente in uno stesso luogo, solitamente il grado di affezione e di confidenza con quest’ultimo è tale da poter essere assimilabile a un’ulteriore casa. Oltre ai materiali e agli strumenti del mestiere, gli studi d’artista spesso sono ricolmi di oggetti personali, fotografie, suppellettili, volumi e cataloghi, elementi naturali prelevati dal paesaggio, i quali in studio, sulle mensole, divengono talismani o anche oggetti di riflessione artistica o persino ulteriori materiali di lavoro. Sia che si tratti di grandi laboratori polifunzionali, sia che l’ambiente di lavoro sia ricavato da un piccolo vano all’interno dell’abitazione, lo studio diviene proiezione del mondo interiore dell’artista. È un luogo della creazione. Entro le sue mura si stratificano esperienze di ogni sorta; nasce, cresce e si sviluppa di pari passo con l’artista. Ne riflette la personalità nel modo più autentico. È testimone silenzioso delle sperimentazioni più ardite, del perfezionamento di tecniche affinate nel corso degli anni e custodite gelosamente. È anche il luogo delle infinite prove, delle notti insonni, delle cocenti insoddisfazioni, che tuttavia possono sfociare talvolta in successi inaspettati.

Il presente volume riunisce in sé una serie di articoli pubblicati mensilmente sulla rivista Espoarte, dal marzo 2021 al settembre 2023. Diffusi nell’ambito della rubrica #TheVisit, tali approfondimenti hanno tentato di aprire le porte a realtà che per loro stessa natura sono poco accessibili, se non a una cerchia ristretta di addetti ai lavori; spazi che in tempi di pandemia hanno rappresentato pure una delle rare occasioni di confronto diretto con l’arte contemporanea. Lungi dall’avanzare pretese di esaustività sull’argomento, vista anche la complessità che lo contraddistingue, il volume intende piuttosto offrire una rassegna aggiornata e composita che abbia come oggetto gli ambienti di lavoro di artisti contemporanei attivi per lo più in Italia. Che si tratti di emergenti, mid career o di artisti già affermati sia sullo scenario italiano sia su quello internazionale, si è optato per un taglio che, a partire dalla descrizione delle caratteristiche spaziali e tecniche, tentasse di offrire uno spaccato su alcune delle tipologie di studio d’artista maggiormente diffuse.

Come viene più volte ribadito nell’ambito degli approfondimenti sui vari studi, esiste un rapporto di stringente reciprocità tra lo studio, l’artista e il lavoro di quest’ultimo. Una contaminazione continua si ravvisa tra l’opera e lo studio. Un rapporto quasi osmotico lega l’una all’altro, al punto che certe forme, soluzioni compositive, colori, modalità espressive o persino formati derivano, almeno in parte, proprio dall’ambiente in cui è stata ideata l’opera. È noto che, in modo più o meno conscio, l’artista, particolarmente sensibile agli stimoli visivi, tenda ad assorbire ciò che cattura il suo sguardo, sia che si tratti di immagini fotografiche, di un paesaggio, di altri lavori o, appunto, dello spazio che ha intorno a sé. Se è vero che certi studi si adattano meglio di altri a certi linguaggi, è altrettanto vero che molto spesso le caratteristiche intrinseche degli ambienti condizionano i linguaggi adottati dagli artisti, influiscono sulle tecniche e i supporti che questi ultimi prediligono e, non di minor rilievo, determinano il rapporto che essi instaurano con lo spazio in senso lato. Se lo studio di un pittore generalmente necessita di ottimali condizioni di luce naturale e lo studio di uno scultore esige ampi spazi per le operazioni di modellatura, saldatura o assemblaggio, ogni specifico linguaggio artistico – così come ogni studio – costituisce di fatto un micro-cosmo a sé; non è dunque automaticamente riconducibile a una tipologia stereotipata e preconcetta. È necessario chiarire sin da subito che, proprio in virtù del rapporto viscerale esistente tra l’artista e il suo studio e proprio per l’unicità di tale legame, sarebbe oltremodo riduttivo incasellarlo in una generica categoria. In tal senso, proprio al fine di evitare una sterile tassonomia di studi d’artista, appare invece più interessante porre l’accento su alcune caratteristiche che accomunano nuclei di studi. Si tratta di requisiti piuttosto duttili, che talvolta possono abbracciare più spazi, qui di seguito annoverati. Allo stesso modo, uno stesso studio può essere riconducibile a più tipologie. Pertanto, a orientare la scelta di attribuzione di un determinato studio d’artista a una specifica sezione del volume saranno da un lato le precipue caratteristiche dello studio in questione, dall’altro l’esito a cui ha condotto la chiacchierata con l’artista.

Il volume parallelamente propone una selezione di alcune esperienze artistiche che nel loro complesso delineano altrettante tendenze in cui si articola il multiforme scenario contemporaneo. Il focus sullo studio consente di decentrare lo sguardo dalla singola opera per considerare il percorso artistico nel suo complesso, proprio a partire dal luogo dove l’opera stessa viene alla luce. Tale approccio trasversale ha il duplice vantaggio di ribaltare la consueta prospettiva di fruizione dell’arte contemporanea, che solitamente avviene a opera portata a compimento ed esposta, e, soprattutto, permette di aggiungere qualche significativa considerazione sulle componenti tecniche, spaziali e persino psicologiche che stanno dietro alla realizzazione dell’opera stessa.

Una prima sezione comprende alcune esperienze di casa-studio. Probabilmente si tratta della forma più elementare di studio. Qualunque artista infatti, agli albori della carriera, ha collocato, almeno in un primo tempo, lo studio in casa o lo ha stipato in una stanza di essa. A prescindere da tali considerazioni, nella prima parte del volume, si fa piuttosto riferimento ad artisti che hanno consapevolmente scelto di vivere e lavorare nello stesso ambiente. Lo scivolamento dell’arte nella vita o della vita nell’arte è in questi casi, com’è facile intuire, assai immediato.

Complice la tendenza a un rinnovato interesse per la natura e per l’ambiente – inclinazione che può condurre gli artisti in direzione di neo-ecologismi o, in altri casi, a una generale riconsiderazione di metodologie e tempistiche, magari orientate a una sincronizzazione sui processi naturali – lo studio talora diviene essenzialmente luogo di rielaborazione e verifica di esperienze condotte sul campo, a contatto con l’ambiente naturale. Esso pertanto rinuncia allo status di luogo circoscritto e stabile per trasferirsi nella mutevolezza del paesaggio.

Lungi dal classico atelier ottocentesco, che ancora oggi in parte incarna lo stereotipo dello studio d’artista, quest’ultimo talvolta può essere ricavato da spazi insoliti, anche dalle caratteristiche molto diverse, la cui originaria funzione non potrebbe essere più lontana dal luogo deputato all’ideazione e realizzazione materiale di opere d’arte.

Una quarta sezione comprende poi studi il cui aspetto produttivo è preponderante rispetto a quello ideativo o relazionale. Si tratta di spazi operativi, prolifici, spesso caotici. Sono delle autentiche fucine di ricerca artistica; dei laboratori del fare arte.

In altri casi lo studio acquisisce persino un’identità ibrida tra luogo di ricerca artistica e spazio espositivo. Sempre più frequenti, tali realtà, spesso corali e collettive, non si limitano ad accogliere il lavoro dell’artista ma lo espongono, spesso ponendolo in dialogo con quello di altri. Sono ambienti polifunzionali, aperti all’incontro e alla relazione. Sono spazi duttili che, in caso di mostra temporanea, cambiano totalmente fisionomia, al fine di ricevere i visitatori.

Radicalmente differente rispetto a quelli appena menzionati è la tipologia dello studio-eremo. In alcuni casi a loro volta case-studio, tali realtà si differenziano da queste ultime poiché prevale la condizione di totale solitudine. L’isolamento per alcuni artisti è anzi un presupposto indispensabile e necessario alla buona riuscita del lavoro. Essi pertanto scelgono svariate modalità di estraniamento dal mondo, al fine di non perdere mai il contatto con la propria ricerca.

Un’ultima tipologia chiude la rassegna: si tratta dello studio come estensione del sé. Per la verità, è una caratteristica piuttosto trasversale, che ricorre nella maggior parte degli studi presi in esame. Ha più a che fare con il dato psicologico della persona che vive lo spazio, piuttosto che con la conformazione dell’ambiente di lavoro. In alcuni casi infatti – soprattutto quando il rapporto con lo studio è consolidato da anni di assidua frequentazione oppure è reso particolarmente intenso da questioni affettive – lo spazio stesso finisce per diventare una sorta di estensione dell’artista stesso; una vera e propria protesi ambientale. Che coincida con l’abitazione dell’artista, che sia collocato nel paesaggio, ricavato da un edificio preesistente, consista in un laboratorio, uno spazio espositivo, un rifugio o sia metaforicamente estensione dell’interiorità dell’artista che vi lavora, lo studio è uno spazio liminale poiché è una zona di confine. Tra spazio fisico e spazio mentale; tra pubblico e privato; tra spazio da vivere in solitudine o da condividere nell’ambito della relazione; tra laboratorio e spazio espositivo; tra lavoro e otium; tra interno e esterno; tra reale (perché vissuto in prima persona) e digitale (perché veicolato attraverso il sito internet o i social network professionali dell’artista). È uno spazio liminale poiché, nonostante l’importanza capitale che riveste tanto nel processo di creazione (dal punto di vista dell’artista), quanto nella comprensione del lavoro dell’artista (dal punto di vista del critico e dello storico dell’arte), quanto nel consolidamento di nuove relazioni (dal punto di vista del gallerista, dell’art dealer e della stampa), resta inevitabilmente a latere del complesso sistema dell’arte contemporanea, talora maggiormente focalizzato su aspetti espositivi e commerciali. È uno spazio liminale perché è essenzialmente territorio di transizione e trasformazione.


Il volume integrale è disponibile sul sito di Vanillaedizioni e sui maggiori bookstore