Folla in movimento. Pietro Bellani e i suoi “omini”
M. Lapperier, Folla in movimento / Pietro Bellani e i suoi “homini”, in Boogie, catalogo della mostra (La Spezia, 21 ottobre 2018 – 24 febbraio 2019) a cura di V. Dehò, Brain, La Spezia, 2018.
Uomini in movimento affannati, alla ricerca di qualcosa, mossi dal desiderio di conoscere ed esplorare, animati da un discontinuo seppur progressivo movimento centrifugo, sono i protagonisti del lavoro di Pietro Bellani (Licciana Nardi, 1944), sin dalle sue primissime prove su carta. I suoi celebri “omini”, dipinti su tela, disegnati sul muro, sgrossati nel legno, cartone o vetroresina, stipano gli ambienti del CAMeC, lo riempiono di colore, dando luogo a folle concitate, al contempo divertenti e tragiche. Boogie, questo è il titolo della rassegna a cura di Valerio Dehò, è la prima mostra personale dedicata all’artista che, dagli anni Novanta, ha esposto prevalentemente in Germania, tra Francoforte, Düsseldorf, Amburgo e Monaco.
Scarti
La consuetudine di intervenire a distanza di anni sulle stesse opere, variandole, incrementandole, permettendo loro di crescere come si trattasse di organismi viventi, impone un tipo di percorso che, rifuggendo una rigida scansione cronologica, è per lo più tematico.
Gli agglomerati materici che, per accumulo, danno forma a molte delle opere proposte da Bellani hanno manifesti precedenti tanto nelle sperimentazioni di origine Dada, quanto nella Pop Art inglese, americana e italiana. La questione del riuso è per Bellani di cruciale importanza: intere opere come Casa dell’architetto (2015) o Virginia O. (2018) sono totalmente costituite da residui derivati da precedenti lavorazioni e ritagli di sculture in legno o plexiglass. Gli scarti, così come le fotografie e addirittura i vecchi lavori più piccoli, o parti di essi, entrano di diritto a far parte di nuove tele; in questo modo, l’artista-demiurgo infonde nuova vita in qualcosa che aveva concluso il proprio corso e, allo stesso tempo, sfrutta la preziosa occasione di riflettere sulla propria arte, attivando una sorta di lavoro introspettivo su se stesso.
La casualità come valore
Molte opere di Bellani nascono e si sviluppano a partire da processi che potremmo definire casuali. Si prenda ad esempio proprio Boogie (2018), grande tela concepita appositamente per la mostra omonima; osservandola attentamente si noterà che, sotto i vari livelli di colore, appaiono carte di giornali applicate a collage. In un secondo momento, si scorgono strati di acrilico, pittura per vetro e pasta acrilica, atta a creare effetti spumosi e a rilievo. Solo in seguito, gli “omini”, precedentemente sbozzati nel legno, sono gettati casualmente sull’opera, assieme a colature di resina. I giornali sottostanti raccontano una storia, gli “omini” la interpretano, i colori e le resine sono il collante che permette alla narrazione di prendere forma sotto lo sguardo del visitatore attento. Concetti come casualità, accidentalità, entropia, caso e spontaneità rappresentano le migliori chiavi di lettura che l’artista possa fornirci per interpretare le sue composizioni.
L’attenzione all’uomo e ai temi sociali
Quando Pietro Bellani, ancora ragazzo, osservava gli operai dell’Arsenale Militare della Spezia entrare al lavoro, uscire per la pausa pranzo, rientrare e poi riuscire la sera, rimaneva affascinato da quel “brusio di gente” con la valigetta e il cappello che sfilava quotidianamente davanti all’attività commerciale della madre, posta proprio in prossimità di uno degli ingressi dell’Arsenale. La vicinanza di Bellani al Partito Socialista di Unità Proletaria, la partecipazione giovanile a lotte studentesche, le manifestazioni contro la guerra nel Vietnam e uno sguardo costantemente rivolto agli ultimi, anche in virtù di letture come Uomini e topi di Steinbeck, acuirono la sensibilità dell’artista, rendendolo maggiormente ricettivo nei confronti di ciò che sarebbe stato al centro della sua futura ricerca artistica: l’uomo. Questi, ritratto in innumerevoli carte o tele, almeno in un primo momento preferibilmente nelle vesti di operaio o impiegato di banca, è il soggetto prediletto da Bellani, sin dal 1956, quando, poco più che un bambino, dette inizio alla propria carriera artistica. Solo più recentemente – come ben documenta questa mostra – l’artista ha riproposto una versione più rudimentale e sintetica di “omini”, rinunciando persino alla caratterizzazione dei volti, compiendo così un ulteriore passo nella direzione di una possibile (e auspicabile) identificazione con essi.
Il movimento come fonte di ispirazione
Tanto gli “omini”, così come le numerose opere astratte – in particolare le serie Meteore e Le regole del caos – celebrano il movimento, il ritmo, il disordine come componenti primarie dell’arte di Bellani e, allo stesso tempo, condizioni esistenziali dell’essere umano. Boogie è anche il titolo di due tele in mostra, realizzate a vent’anni di distanza; l’una nel 1998, l’altra, come già accennato, nel 2018. Tali opere, oltre a testimoniare continuità nella ricerca di Bellani, rivelano efficacemente nella frenesia di una danza quel caotico e dirompente fermento insito nei suoi lavori.
Il senso di movimento è ulteriormente enfatizzato dalla fiumana di “omini” che si estende per gran parte di una sala. Con un’operazione che rimanda implicitamente o esplicitamente a Pellizza da Volpedo, gli “omini” sembrano procedere in direzione del visitatore, investendolo della loro vitale cromia. La folla non ha una meta precisa, forse non va da nessuna parte. Forse, pur con i suoi atteggiamenti farseschi, quasi si trattasse di una novella Armata Brancaleone, incarna il dramma dei migranti di ieri, di oggi, di sempre.